martedì 26 marzo 2013

La maledizione della prima volta




Continua la maledizione della prima volta:
ogni cosa che faccio sembra destinata ad andar storta.
Nel duemilatre mi serviva un anno normale
(ero entrato nell’avicoltura imprenditoriale)
ed è arrivata un’afa indecente, una calura
insopportabile, mai vista così lunga e dura,
che si è portata via ogni progetto, breve o a distanza,
nella più grande, finora mai vista,
d’animali ed umani, mattanza.
Da quelle ceneri son poi rinato e ritornato in pista
pagando il prezzo più salato e ingiusto
quello del ridimensionamento e dello strame:
tornare ad ubbidire a gente infame
immorale e senza gusto.
Era il duemilacinque, avevo quarantottanni
un sacco di chilometri, le ossa rotte
e molti, troppi problemi  e affanni
per compiacere all’infinito qualche farabutto.
Durò sei anni, anche troppi, ed eccomi qua
paperino incazzoso ed eterna fenice
che tra Voltaire, Schopenhauer e Nietzsche
sconta, degli uomini e il fato, l’ostilità.
Ma se dei simili ho fatto ragione
della sorte non digerisco l’eterna avversione,
ecco perché voglio verificare
se dopo l’ennesima polvere ci sarà un qualche altare
o se questo duemilatredici sarà
l’anno più freddo e piovoso da qualche secolo in qua
visto che dopo aver perso il mio vecchio mestiere
mi son dovuto inventare barman e gelatiere!
Se così fosse, e temo sarà,
a costo d’essere ateo blasfemo
lancerò in alto col mio urlo estremo
l’esecrazione alla divinità
e in veronese stretto ed osceno
io dirò: « Basta, lasciami  in pace,
la bruta vaca che t’ha cagà.»

13-3-13